Marco Iannaccone

photographer freelance

Marco Iannaccone | Scarlet Lovejoy

Presentation

Non essendo un critico d’arte “professionista”, mi diverte dover scrivere la presentazione di questo catalogo di Scarlet Lovejoy e mi diverte ancora di più per il fatto che Marco Iannaccone già sa che lo considero una delle migliori realtà emergenti di Napoli della fotografia intesa come arte. E mi diverte perchè sono io stesso un fotografo e scrivere bene di un collega non fa che togliere un po’ d’acqua al proprio mulino. Almeno credo sia questo il modo di pensare in certi ambienti in cui, per avere una recensione su un giornale o un semplice “like” su Facebook di un proprio lavoro, a volte devi far parte del clan. Ma non e il mio modo di pensare. E allora ci si scambiano, tra quelli che non fanno parte di alcun clan, apprezzamenti disinteressati. Anche se non nascondo che mi farebbe veramente piacere ricevere in regalo un suo lavoro pannellato in 70x100 dopo aver scritto queste righe. Ho conosciuto Marco gia prima di conoscerlo. Era li, in un calendario da tavolo spiralato sulla scrivania di un amico grafico di una casa editrice. No, non era uno dei soggetti ritratti in quel calendario auto-prodotto, ma era colui che ne aveva realizzato le 12 foto e mi resi conto di avere di fronte finalmente un prodotto fuori dai canoni stereotipati del lessico fotografico partenopeo. Per un attimo pensai si trattasse di un fotografo londinese o catalano perchè in oltre 25 anni di attività fotografica in campo non mi era mai capitato di vedere nulla di simile a Napoli. Quelle immagini erano travestite. Erano realizzate in location e situazioni tipiche della città ma con uno stile che andava oltre i confini di Napoli. Il travestimento è una delle componenti della vita e del lavoro di Marco/Scarlet. Non mi pongo particolari domande sul perchè abbia voluto crearsi questo suo personaggio (Scarlet Lovejoy) che a qualcuno puo imbarazzare o far pensare che sia una banale e scontata operazione di marketing per creare un brand intorno ai suoi lavori. Mi pongo direttamente delle risposte.

Il travestimento fa parte ormai della nostra societa. Siamo più portati ad apparire che essere. Siamo tutti dottor Jekyll & Mr. Hyde. Tutti, quasi tutti, abbiamo una doppia personalità se non pirandellianamente multipla. Insospettabili politici che vengono scoperti in compagnia di prostitute, transessuali o con persone dello stesso sesso. E se hanno invece una vita sessuale “normale” travestono le proprie parole in bugie o, bene che vada, in politichese. Aziende multinazionali che si pubblicizzano con campagne etiche e che, se vai a scavare, dietro di esse “nascondono” sfruttamento di lavoro minorile, evasioni fiscali, materie prime importate da territori inquinati o sottopagano alla fonte i produttori. La doppia personalità fa parte della nostra società. Ecco, Scarlet Lovejoy, alias Marco Iannaccone, usa invece il travestitismo sotto la luce del sole. In maniera trasparente. Senza ipocrisie. Nella vita come nel lavoro. È l’ipocrisia uno dei temi ricorrenti nel lavoro di Scarlet e con ironia e sarcasmo la tratta in “Società in arresto” dove lo sfottò su alcuni reati evidenzia il paradosso del malessere sociale. I piaceri ludici, sessuali, che dovrebbero far parte di una vita sana dell’individuo, si trasformano in consumi fruiti illegalmente causa indisponibilità dei tempi umani costretti a convivere con una società schizzata ad alta velocità e che paradossalmente ne ha determinato il suo “arresto”, se non addirittura la regressione primordiale. Un malessere fatto di tutti i vizi capitali, di peccati sanciti dalle tavole della legge che risolverebbero pagine e pagine di Codice Civile e Penale che invece sembra siano state scritte, queste ultime, per far trovare sempre uno scorcio di comma per salvare il peccatore. Ipocritamente.

Come si intuisce dalle immagini delle pagine successive, Scarlet non è un bigotto, non è una persona di chiesa ma è palesemente sensibile a quei temi che tanto esaltano il cattolicesimo ma che a volte (ipocritamente) cerca di nascondere sotto il tappeto. L’icona religiosa è presente nel lavoro di Scarlet a cavallo tra il sacro e il profano. Dipende dai punti di vista. Suore, madonne, santi, cristi, qui non sono icone provocatorie e blasfeme, ma appelli, richiami a un’etica che ci sta sfuggendo di mano e in cui la chiesa potrebbe assurgere un ruolo fondamentale per contenere la fuga del buon senso, la perdita di riferimenti del buon vivere. Immagini, quelle di Scarlet, che forse involontariamente sponsorizzano la Fede più di una messa domenicale. La Fede per la vita stessa, sperare e non sentirsi crocifisso da un sistema economico che ti costringe a un lavoro precario. Immagini che potrebbero anche arredare le chiese di oggi se riuscissimo a fare tutti uno sforzo per iniziare un nuovo Rinascimento. Tematiche scottanti quelle di Marco/Scarlet. Come quelle sintetizzate nelle immagini dello spaccato variegato di vita vissuta dell’interno di un condominio in cui persone comuni ed insospettabili, vengono ritratte attraverso tipologie tipiche di una società degenerata, in contrasto con l’ingannevole opulenza e benessere sfornato dagli stereotipi pubblicitari che altro non fanno che creare senso di frustrazione mostrandoci modelli di vita che non fanno parte della realtà. Rendersi conto dei tempi in cui si vive, delle fobie, delle violenze sociali, ambientali, politiche, economiche, che si perpetuano quotidianamente e una caratteristica che un artista deve avere. Suo malgrado. Andy Warhol colse pienamente il senso dei suoi tempi. La saturazione della notizia di un incidente, la ripetitività di un prodotto era la sua denuncia alla società dei consumi occidentale. Una fake-society dove nella realtà ti ritrovi i vicini di casa che sono alcolisti, il marito che picchia la moglie, e un figlio maggiore psicotico affetto da bipolarismo che va a scuola armato pronto a fare una strage in un’aula magna dell’università.

Scarlet potrebbe essere un personaggio che incarna la purezza migliore di questo mondo. Probabilmente soffre intimamente per questi tempi degenerati e mette a disposizione la sua sensibilità per creare immagini di denuncia. E uno di quelli che ho inquadrato tra quelli che io definisco Artisti Utili, artisti che lavorano su problematiche dell’attuale civiltà e che attraverso il loro lavoro sensibilizzano, denunciano e a volte offrono anche proposte per risolvere problemi collettivi. "Plastic Art Trash" fu la sua prima mostra che andai a vedere. Si trattava di un’intuizione colta al volo che cavalcava la scia della questione dei cumuli di rifiuti che non venivano rimossi dalle strade di Napoli nel 2010. In meno di un mese realizzò, per questa mostra, 19 immagini sul filo del sacchetto di immondizia che citavano opere d’arte famose, arte che si ribellava a uno stato comatoso e disfatto di una città d’arte quale e Napoli. La vulcanica produttività di Scarlet non lascia nulla al caso, nulla è improvvisato. Ogni suo progetto mantiene coerenza grafica nella post-produzione. La serialità tipica della Pop Art dell’era warholiana è una delle caratteristiche dei suoi lavori. Le sue elaborazioni possono risultare barocche, kitsch con impostazioni fumettistiche tra il trash e il gotico, ma tutte inquadrate in uno stile ben definito e riconoscibile nell’insieme dell’opera.

Ho saputo solo dopo qualche anno che Marco ha frequentato la Nigma Fotografi di Sergio De Benedittis. Nigma era una “officina fotografica” dove il maestro Sergio, scomparso prematuramente, insegnava fotografia con un approccio diverso: attraverso chiacchierate, racconti, faceva vivere la fotografia con un certo senso filosofico. Le sue erano indicazioni di massima, non imponeva uno stile fotografico, ma cercava di trasmettere gli strumenti per trovarsi il proprio, di stile. Non ho mai partecipato ai corsi di fotografia di Sergio ma, conoscendolo, posso presumere che abbia in parte influenzato un aspetto nella produzione di Scarlet che è quello della progettualità. Immagini immaginate alla fonte, pensate, progettate, prima di essere realizzate. Marco Iannaccone nel suo essere doppio, e timido e sfrontato. Chiudo con un episodio che aiuterebbe a comprendere meglio la sua ecletticità. Quando si trovò a voler esporre nell’anti-sala dei Baroni a Castel Nuovo (Maschio Angioino), il Comune di Napoli gli chiese giustamente un canone per l’occupazione dello spazio. La normativa contemplava come spazio espositivo le pareti della sala e lui, senza scoraggiarsi, propose di esporre a terra le sue immagini per evitare la spesa dell’affitto delle pareti. Fu probabilmente l’unica mostra allestita "a terra" che sia mai stata fatta all’interno del Maschio Angioino. Ecco, è l’unicità mentale che contraddistingue Scarlet. Le sue sono figure uniche, nell’accezione migliore del termine, schiettamente destabilizzanti, senza quelle pippe mentali che necessiterebbero di elaborati e pomposi discorsi di critica incomprensibile per spiegare l’inspiegabile nulla. Marco Iannaccone è Scarlet Lovejoy, senza inganno e senza trucco se non il solo fard e mascara che usa per far festa.

  • Presentazione di Marco Maraviglia

    Non essendo un critico d’arte “professionista”, mi diverte dover scrivere la presentazione di questo catalogo di Scarlet Lovejoy e mi diverte ancora di più per il fatto che Marco Iannaccone già sa che lo considero una delle migliori realtà emergenti di Napoli della fotografia intesa come arte. E mi diverte perchè sono io stesso un fotografo e scrivere bene di un collega non fa che togliere un po’ d’acqua al proprio mulino. Almeno credo sia questo il modo di pensare in certi ambienti in cui, per avere una recensione su un giornale o un semplice “like” su Facebook di un proprio lavoro, a volte devi far parte del clan. Ma non e il mio modo di pensare. E allora ci si scambiano, tra quelli che non fanno parte di alcun clan, apprezzamenti disinteressati. Anche se non nascondo che mi farebbe veramente piacere ricevere in regalo un suo lavoro pannellato in 70x100 dopo aver scritto queste righe. Ho conosciuto Marco gia prima di conoscerlo. Era li, in un calendario da tavolo spiralato sulla scrivania di un amico grafico di una casa editrice. No, non era uno dei soggetti ritratti in quel calendario auto-prodotto, ma era colui che ne aveva realizzato le 12 foto e mi resi conto di avere di fronte finalmente un prodotto fuori dai canoni stereotipati del lessico fotografico partenopeo. Per un attimo pensai si trattasse di un fotografo londinese o catalano perchè in oltre 25 anni di attività fotografica in campo non mi era mai capitato di vedere nulla di simile a Napoli. Quelle immagini erano travestite. Erano realizzate in location e situazioni tipiche della città ma con uno stile che andava oltre i confini di Napoli. Il travestimento è una delle componenti della vita e del lavoro di Marco/Scarlet. Non mi pongo particolari domande sul perchè abbia voluto crearsi questo suo personaggio (Scarlet Lovejoy) che a qualcuno puo imbarazzare o far pensare che sia una banale e scontata operazione di marketing per creare un brand intorno ai suoi lavori. Mi pongo direttamente delle risposte.

  • Il travestimento fa parte ormai della nostra societa. Siamo più portati ad apparire che essere. Siamo tutti dottor Jekyll & Mr. Hyde. Tutti, quasi tutti, abbiamo una doppia personalità se non pirandellianamente multipla. Insospettabili politici che vengono scoperti in compagnia di prostitute, transessuali o con persone dello stesso sesso. E se hanno invece una vita sessuale “normale” travestono le proprie parole in bugie o, bene che vada, in politichese. Aziende multinazionali che si pubblicizzano con campagne etiche e che, se vai a scavare, dietro di esse “nascondono” sfruttamento di lavoro minorile, evasioni fiscali, materie prime importate da territori inquinati o sottopagano alla fonte i produttori. La doppia personalità fa parte della nostra società. Ecco, Scarlet Lovejoy, alias Marco Iannaccone, usa invece il travestitismo sotto la luce del sole. In maniera trasparente. Senza ipocrisie. Nella vita come nel lavoro. È l’ipocrisia uno dei temi ricorrenti nel lavoro di Scarlet e con ironia e sarcasmo la tratta in “Società in arresto” dove lo sfottò su alcuni reati evidenzia il paradosso del malessere sociale. I piaceri ludici, sessuali, che dovrebbero far parte di una vita sana dell’individuo, si trasformano in consumi fruiti illegalmente causa indisponibilità dei tempi umani costretti a convivere con una società schizzata ad alta velocità e che paradossalmente ne ha determinato il suo “arresto”, se non addirittura la regressione primordiale. Un malessere fatto di tutti i vizi capitali, di peccati sanciti dalle tavole della legge che risolverebbero pagine e pagine di Codice Civile e Penale che invece sembra siano state scritte, queste ultime, per far trovare sempre uno scorcio di comma per salvare il peccatore. Ipocritamente.

  • Come si intuisce dalle immagini delle pagine successive, Scarlet non è un bigotto, non è una persona di chiesa ma è palesemente sensibile a quei temi che tanto esaltano il cattolicesimo ma che a volte (ipocritamente) cerca di nascondere sotto il tappeto. L’icona religiosa è presente nel lavoro di Scarlet a cavallo tra il sacro e il profano. Dipende dai punti di vista. Suore, madonne, santi, cristi, qui non sono icone provocatorie e blasfeme, ma appelli, richiami a un’etica che ci sta sfuggendo di mano e in cui la chiesa potrebbe assurgere un ruolo fondamentale per contenere la fuga del buon senso, la perdita di riferimenti del buon vivere. Immagini, quelle di Scarlet, che forse involontariamente sponsorizzano la Fede più di una messa domenicale. La Fede per la vita stessa, sperare e non sentirsi crocifisso da un sistema economico che ti costringe a un lavoro precario. Immagini che potrebbero anche arredare le chiese di oggi se riuscissimo a fare tutti uno sforzo per iniziare un nuovo Rinascimento. Tematiche scottanti quelle di Marco/Scarlet. Come quelle sintetizzate nelle immagini dello spaccato variegato di vita vissuta dell’interno di un condominio in cui persone comuni ed insospettabili, vengono ritratte attraverso tipologie tipiche di una società degenerata, in contrasto con l’ingannevole opulenza e benessere sfornato dagli stereotipi pubblicitari che altro non fanno che creare senso di frustrazione mostrandoci modelli di vita che non fanno parte della realtà. Rendersi conto dei tempi in cui si vive, delle fobie, delle violenze sociali, ambientali, politiche, economiche, che si perpetuano quotidianamente e una caratteristica che un artista deve avere. Suo malgrado. Andy Warhol colse pienamente il senso dei suoi tempi. La saturazione della notizia di un incidente, la ripetitività di un prodotto era la sua denuncia alla società dei consumi occidentale. Una fake-society dove nella realtà ti ritrovi i vicini di casa che sono alcolisti, il marito che picchia la moglie, e un figlio maggiore psicotico affetto da bipolarismo che va a scuola armato pronto a fare una strage in un’aula magna dell’università.

  • Scarlet potrebbe essere un personaggio che incarna la purezza migliore di questo mondo. Probabilmente soffre intimamente per questi tempi degenerati e mette a disposizione la sua sensibilità per creare immagini di denuncia. E uno di quelli che ho inquadrato tra quelli che io definisco Artisti Utili, artisti che lavorano su problematiche dell’attuale civiltà e che attraverso il loro lavoro sensibilizzano, denunciano e a volte offrono anche proposte per risolvere problemi collettivi. "Plastic Art Trash" fu la sua prima mostra che andai a vedere. Si trattava di un’intuizione colta al volo che cavalcava la scia della questione dei cumuli di rifiuti che non venivano rimossi dalle strade di Napoli nel 2010. In meno di un mese realizzò, per questa mostra, 19 immagini sul filo del sacchetto di immondizia che citavano opere d’arte famose, arte che si ribellava a uno stato comatoso e disfatto di una città d’arte quale e Napoli. La vulcanica produttività di Scarlet non lascia nulla al caso, nulla è improvvisato. Ogni suo progetto mantiene coerenza grafica nella post-produzione. La serialità tipica della Pop Art dell’era warholiana è una delle caratteristiche dei suoi lavori. Le sue elaborazioni possono risultare barocche, kitsch con impostazioni fumettistiche tra il trash e il gotico, ma tutte inquadrate in uno stile ben definito e riconoscibile nell’insieme dell’opera.

  • Ho saputo solo dopo qualche anno che Marco ha frequentato la Nigma Fotografi di Sergio De Benedittis. Nigma era una “officina fotografica” dove il maestro Sergio, scomparso prematuramente, insegnava fotografia con un approccio diverso: attraverso chiacchierate, racconti, faceva vivere la fotografia con un certo senso filosofico. Le sue erano indicazioni di massima, non imponeva uno stile fotografico, ma cercava di trasmettere gli strumenti per trovarsi il proprio, di stile. Non ho mai partecipato ai corsi di fotografia di Sergio ma, conoscendolo, posso presumere che abbia in parte influenzato un aspetto nella produzione di Scarlet che è quello della progettualità. Immagini immaginate alla fonte, pensate, progettate, prima di essere realizzate. Marco Iannaccone nel suo essere doppio, e timido e sfrontato. Chiudo con un episodio che aiuterebbe a comprendere meglio la sua ecletticità. Quando si trovò a voler esporre nell’anti-sala dei Baroni a Castel Nuovo (Maschio Angioino), il Comune di Napoli gli chiese giustamente un canone per l’occupazione dello spazio. La normativa contemplava come spazio espositivo le pareti della sala e lui, senza scoraggiarsi, propose di esporre a terra le sue immagini per evitare la spesa dell’affitto delle pareti. Fu probabilmente l’unica mostra allestita "a terra" che sia mai stata fatta all’interno del Maschio Angioino. Ecco, è l’unicità mentale che contraddistingue Scarlet. Le sue sono figure uniche, nell’accezione migliore del termine, schiettamente destabilizzanti, senza quelle pippe mentali che necessiterebbero di elaborati e pomposi discorsi di critica incomprensibile per spiegare l’inspiegabile nulla. Marco Iannaccone è Scarlet Lovejoy, senza inganno e senza trucco se non il solo fard e mascara che usa per far festa.